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Specie botaniche
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Carica papaya
La specie più conosciuta della famiglia delle Caricaceae è Carica papaya, nota comunemente come papaya, detta anche “albero dei meloni” per l’aspetto dei suoi frutti. Fu citata per la prima volta nel Cinquecento dal cronista spagnolo De Oviedo al seguito delle spedizioni spagnole nel Nuovo Mondo. Ha l’aspetto di un albero di piccole dimensioni (raggiunge al massimo i 5-8 m di altezza), a fusto singolo non ramificato. Nella parte terminale è inserita una corona di grandi foglie palmate, con il picciolo che può raggiungere il metro di lunghezza. Per favorire la maturazione dei frutti esponendoli direttamente al sole le foglie cadono e lasciano ben visibili lungo il tronco i segni delle cicatrici.
Dal punto di vista riproduttivo è una specie particolare: in genere è dioica, cioè ogni pianta porta solo fiori maschili o solo fiori femminili, ma sono state selezionate anche piante con fiori ermafroditi. Alcune varietà possono presentare, a seconda dell’andamento climatico, fiori maschili oppure femminili, o può succedere che piante maschili o ermafrodite diventino femminili se vengono danneggiate o tagliate alla sommità. I fiori, morfologicamente distinti a seconda del sesso, sono numerosi, profumatissimi e con una corolla a cinque petali giallognoli.
Il frutto è una bacca di forma oblunga, che a maturità assume un colore giallo arancio, con una polpa succosa che contiene al centro piccoli semi neri, ricoperti da un arillo mucillaginoso. Le dimensioni sono variabili e può pesare anche 9 Kg. La papaya continua a produrre nuovi fiori e contemporaneamente si sviluppano i frutti, perciò presenta sempre sia fiori che frutti a vario grado di maturazione.
È una pianta probabilmente originaria dell’America centrale, diffusa e ampiamente coltivata nelle regioni tropicali e subtropicali, principalmente per i frutti, ricchi di calcio, fosforo, ferro, potassio e vitamina A, B e C, di flavonoidi e polifenoli, noti antiossidanti. Oltre che per l’importanza alimentare del frutto, è ampiamente coltivata per il lattice. Ricavato soprattutto dalla buccia e dalla polpa dei frutti immaturi, ma anche da altre parti della pianta, il lattice contiene enzimi proteolitici, quindi è molto utile per migliorare la digestione in particolare la papaina, impiegata nell’industria farmaceutica per la sua azione antiparassitaria intestinale, digestiva e antinfiammatoria.
La papaina viene usata anche nella fabbricazione di birra, perché elimina le proteine che a bassa temperatura precipitano e la intorbidiscono, nell’industria cosmetica e dei detergenti nell'industria alimentare per intenerire le carni in scatola, in quella tessile per il trattamento di lana e seta prima della coloritura.
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Syringa vulgaris
Il lillà, originario dell'Europa sudorientale, fu introdotto in Italia dal XVI secolo a scopo ornamentale e oggi è presente come specie avventizia in tutte le regioni d'Italia salvo che in Valle d'Aosta, Campania, Puglia, Calabria e Sardegna. In Italia è coltivato quasi ovunque al di sotto della fascia montana, e appare sporadicamente anche allo stato subspontaneo; ha tendenza ad inselvatichirsi in siepi e boschetti presso gli abitati, su suoli argillosi abbastanza profondi e ricchi in basi, dal livello del mare a 800 metri circa. Il nome generico in greco significa 'flauto' e potrebbe derivare dall'uso dei rami per produrre flauti; il nome specifico deriva dal latino 'vúlgus' (volgo) e significa 'comune, diffuso, frequente'. Forma biologica: fanerofita cespugliosa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.
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Cupressus sempervirens
Il cipresso comune è un albero originario dell'Asia Minore e del Mediterraneo orientale, da tempi antichissimi molto utilizzato in Italia sia a scopo ornamentale sia negli impianti di rimboschimento, ma senza alcuna tendenza a spontaneizzarsi. Fu introdotto in Italia in tempi antichissimi, forse dai greci, e poi diffuso dagli etruschi soprattutto in Umbria e in Toscana, dove ormai è divenuto una parte importante ed essenziale del paesaggio colturale. In alcune isole dell’Egeo è possibile osservare questi alberi crescere sulle coste rocciose a pochi metri dal mare (Isola di Scorpios). Pianta poco esigente dal punto di vista della cura, può raggiungere una considerevole età. Tollera la siccità e si adatta a qualsiasi terreno, ma è soggetto a malattie crittogamiche e a parassiti animali: il fungo Coryneum cardinale Wag. ha minacciato l'esistenza dei cipressi italiani. Il cipresso è ampiamente coltivato per il suo portamento, che lo rende adatto alla realizzazione di giardini all'italiana e alberature stradali, siepi frangivento e rimboschimenti. Le foglie, i rami e le pigne hanno impiego officinale, dalla corteccia si ricava per distillazione un olio essenziale usato in profumeria. Il legno, particolarmente resistente, era utilizzato sin da tempi antichi per le costruzioni navali, la costruzione di casse e cornici nonché di porte e portoni come le prime porte della basilica di San Pietro. Il nome del genere è quello comune presso i romani, derivato dal greco 'kypárissos', che origina da 'kuo' (io genero, produco germogli) e 'párisos' (simile, uguale), in riferimento all'accrescimento simmetrico della pianta. Il nome specifico in latino significa 'sempreverde'. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: febbraio-maggio.
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Triticum aestivum
Il frumento è una pianta annua selezionata dall’uomo in tempi antichissimi a partire da diverse specie selvatiche con corredo cromosomico diploide, oggi coltivato in tutto il mondo. I frumenti diploidi e tetraploidi sono giunti nel bacino del Mediterraneo già alla fine del Neolitico, quelli esaploidi probabilmente più tardi. A volte sfugge alle colture e appare allo stato subspontaneo in ambienti disturbati presso le strade. Il nome generico secondo Varrone deriva dal latino 'tritum' (battuto), per l'uso di battere il frumento onde far uscire il grano dalle spighe. Forma biologica: terofita scaposa. Periodo di fioritura: maggio-giugno.
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Campanula morettiana
Campanula morettiana
Specie osservabile solo in natura: la pianta presente all’Orto botanico (Campanula persicifolia) appartiene allo stesso genere.
La campanula di Moretti è una specie endemica delle Alpi orientali, presente in Trentino-Alto Adige, Veneto e Friuli. La distribuzione regionale è confinata ad un’area piuttosto ristretta nelle Prealpi Carniche. Cresce su rupi verticali compatte di rocce dolomitiche, dalla fascia subalpina a quella alpina. Il nome generico allude alla forma campanulata della corolla; la specie è dedicata a G. Moretti (1782-1853), botanico a Pavia. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: agosto.
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Juniperus communis
Il ginepro comune è un arbusto a vasta distribuzione eurasiatica presente in tutte le regioni d’Italia. Cresce in arbusteti pionieri o in boschi molto aperti in cui la sua frequenza aumenta con la profondità dei suoli e con l'altitudine, su suoli argillosi da subaridi a freschi, spesso decalcificati e quindi da neutri a subacidi, dal livello del mare a 1.500 metri circa (raramente più in alto). Il legno duro e compatto è ricercato per lavori di ebanisteria e per la costruzione di utensili. Con i galbuli si aromatizzano le acquaviti di cereali, ottenendo il famoso 'gin'; i galbuli possiedono anche proprietà balsamiche e sono utilizzati nelle affezioni delle vie respiratorie e urinarie. Il nome generico, già in uso presso i Romani, è di origine controversa: forse deriva dal latino 'iùnix' (giovenca) e 'pàrio' (do alla luce), alludendo al fatto che una delle specie (Juniperus sabina L.) veniva somministrata alle vacche per favorire il parto, oppure da 'iùnior' (più giovane) e 'pàrio' (do alla luce), perché produce sempre nuovi germogli. Forma biologica: fanerofita cespugliosa (fanerofita scaposa). Periodo di fioritura: febbraio-aprile.
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Apium graveolens
Il sedano è una specie di origine incerta: forme selvatiche si trovano in zone paludose dell’Europa meridionale e dell'Asia occidentale, in particolare nella porzione orientale dell’area mediterranea; da queste è iniziata la coltivazione sin da tempi molto antichi. Foglie e infiorescenze di sedano erano parte delle ghirlande rinvenute nella tomba del faraone Tutankhamon (morto nel 1323 a.C.) e frutti risalenti al VII secolo a.C. sono stati recuperati a Samos. In entrambi i luoghi il sedano è spontaneo, per cui è difficile stabilire se questi resti rappresentino forme selvatiche o coltivate. Nell'Iliade, i cavalli dei mirmidoni pascolano sul sedano selvatico che cresce nelle paludi di Troia e nell'Odissea si parla di prati di sedano che circondano la grotta di Calipso. Nella Grecia classica il sedano era associato alle divinità ctonie, e foglie di sedano venivano utilizzate come ghirlande per i morti. Oggi il sedano è coltivato in tutto il mondo. In Italia vi sono sia popolazioni naturali, soprattutto al centro-sud, che popolazioni in cui la specie appare allo stato subspontaneo sfuggendo dalla coltivazione, soprattutto in ambienti piuttosto caldi e umidi vicino agli abitati. La coltivazione millenaria ha portato allo sviluppo di diverse cultivar, tra cui il sedano da coste (var. dulce) di cui si utilizzano i piccioli, il sedano-rapa (var. rapaceum) di cui si utilizza la radice e diverse varietà di sedano da foglie. Alla pianta vengono attribuite proprietà aperitive, digestive, diuretiche e carminative. Il nome generico è quello usato dai Romani per il sedano, il nome specifico deriva dal latino da ‘grávis’ (grave) e ‘óleo’ (io esalo) e si riferisce all’intenso odore della pianta. Forma biologica: emicriptofita bienne. Periodo di fioritura: maggio-settembre.
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Senecio paludosus
Senecio paludosus
Il senecione di palude è una specie a distribuzione prevalentemente centroeuropea, presente in Italia settentrionale dalla Venezia Giulia alla Lombardia. E’ una pianta erbacea perenne della famiglia delle Asteraceae, di grande taglia, a fiori gialli. Cresce nei cariceti e nei canneti, lungo fossi e canali e nei prati umidi, dal livello del mare ai 600 m circa.
Fiorisce da giugno a settembre.
La pianta è tossica per la presenza di alcaloidi ad azione lenta ma molto dannosa per il fegato e cancerogena, che possono anche passare al miele ed al latte. Il nome generico sembra riferirsi a San Giacomo, quello specifico allude all'habitat.
Recenti studi filogenetici molecolari hanno comportato il trasferimento dal genere Senecio, al “vecchio” genere Jacobaea, nome coniato da Miller nel 1754 nel “The Gardeners Dictionary”.
Nel territorio veneto è presente in diverse stazioni, fra cui il Parco Naturale Regionale del fiume Sile, le rive dell’Adige nei pressi della foce, la palude del Busatello e le aree pianeggianti perieuganee.
Entità protetta a livello nazionale, nella Lista Rossa del Veneto le viene attribuito un livello di rischio “EN”, cioè minacciata di estinzione.
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Saponaria officinalis
La saponaria comune è una specie a vasta distribuzione eurasiatico-sudeuropea presente in tutte le regioni d’Italia. Originariamente legata ai greti torrentizi delle pianure si è poi trasferita in ambienti ruderali come margini stradali, discariche, marciapiedi etc., su suoli ghiaioso-sabbiosi più o meno calcarei, da neutri a subacidi, piuttosto ricchi in composti azotati, dal livello del mare alla fascia montana. La pianta contiene saponine, soprattutto nelle radici, ed è tossica se consumata in grandi quantità; un tempo veniva usata per lavare la lana. Il nome generico si riferisce all’alta concentrazione di saponine, il nome specifico deriva dal latino 'officina' (officina, farmacia) in riferimento all’uso a scopo medicinale. Forma biologica: emicriptofita scaposa. Periodo di fioritura: giugno-settembre.
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Himantoglossum adriaticum
Himantoglossum adriaticum
Il barbone adriatico è un’orchidea a distribuzione eurimediterraneo orientale (Italia e Penisola Balcanica) presente in tutte le regioni dell’Italia continentale salvo che in Valle d’Aosta e in Puglia. La distribuzione regionale si concentra nella parte sudorientale del territorio; in Carso la specie è localizzata sul M. Sabotino e nei dintorni di Trieste. Cresce negli orli di boschi termofili di latifoglie decidue e in prati submesofili, su suoli argillosi abbastanza profondi, ricchi in basi ma talvolta decalcificati, da neutri a subacidi, al di sotto della fascia montana inferiore. Il nome generico deriva dal greco 'himántos' (striscia di cuoio), e 'glossa' (lingua), per il lunghissimo labello nastriforme; il nome specifico si riferisce alla distribuzione centrata sulle regioni situate attorno al Mare Adriatico. Forma biologica: geofita bulbosa. Periodo di fioritura: maggio-luglio.
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Quercus suber
La sughera è un albero sempreverde originario dell'Europa sud-occidentale e dell'Africa nord-occidentale, da tempi remoti naturalizzato e spontaneo in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. Si tratta di una specie termofila che predilige ambienti caldi e moderatamente siccitosi, rifuggendo la siccità estrema o le frequenti gelate invernali. Vegeta prevalentemente su suoli derivati da rocce silicee acide, diventando sporadica su suoli basaltici e calcarei. La vita media è di 250-300 anni, ma diminuisce negli esemplari sfruttati per il sughero. La caratteristica più evidente della sughera è il notevole sviluppo in spessore del ritidoma, che non si distacca mai dalla corteccia, formando un rivestimento detto ‘sughero’. Il sughero si presenta di colore grigio-rossastro nei rami di alcuni anni d'età, prima con screpolature grigio-chiare, poi sempre più larghe e irregolari a causa della trazione tangenziale provocata dall'accrescimento in diametro del fusto. Dopo diversi anni il sughero forma una copertura irregolare e spugnosa di colore grigio, detta comunemente sugherone o sughero maschio. Dopo la rimozione del sughero maschio, il fellogeno produce ogni anno nuovi strati di tessuto sugheroso che formano un rivestimento più compatto e più regolare, detto sughero femmina o gentile. Il nome generico, già in uso presso gli antichi, sembra ricollegarsi alla radice indoeuropea che il latino condivide con le parole celtiche 'kaer' e 'quer' (bell'albero), cioè 'l'albero per eccellenza', ma anche con analoghi termini greci riferiti alla rudezza del legno delle piante appartenenti a questo genere; il nome specifico è quello latino del sughero. Forma biologica: fanerofita scaposa (fanerofita cespugliosa). Periodo di fioritura: aprile-giugno.
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Abies alba
L'abete bianco fa parte di un complesso di specie poco differenziate segregate nelle aree montuose attorno al Mediterraneo, ove la pianta ancestrale si era rifugiata durante l'era glaciale. Oggi è presente allo stato spontaneo in tutte le regioni dell’Italia continentale, con optimum nella fascia montana, associandosi solitamente al faggio nelle stazioni più fresche e umide.
È un albero che può raggiungere anche i 60 metri, uno dei più alti in Europa. Il legno, di colore chiaro e con poca resina, è leggero, tenero ed elastico, adatto per la costruzione di travi, mobili, lavori di carpenteria, imballaggi e pannelli. In passato i tronchi colonnari erano usati per le alberature navali; oggi il legno si usa anche nella produzione di pasta da cellulosa. L'abete bianco (Tannenbaum) è il vero 'albero di Natale' per i tedeschi, anche se oggi si utilizza più spesso l'abete rosso (Picea abies), che i tedeschi chiamano 'Fichte'. Il nome generico era già in uso presso i romani e forse deriva dal greco 'abios' (longevo), oppure dal latino 'abire' (andarsene), forse in riferimento alla grande altezza; il nome specifico significa ‘bianco’, e si riferisce alle due linee stomatiche bianche sulla pagina inferiore della foglia o al colore della scorza, più chiara di quella dell'abete rosso. Forma biologica: fanerofita scaposa. Periodo di fioritura: aprile-maggio.