Il cambiamento climatico in un'installazione di Michele De Lucchi

In mostra in Orto botanico fino al 5 gennaio 2020.

 

L’Orto botanico ha inaugurato il 14 marzo l’installazione artistica Radici al vento, testa nella terra firmata dall'architetto Michele De Lucchi.

Costruita con il legno degli alberi travolti dalla tempesta Vaia a fine ottobre 2018, la scultura ricompone con essenze diverse - abete rosso, faggio, larice, abete bianco, frassino, tiglio e nocciolo -  la figura di un albero che con il suo tronco, i suoi rami e le sue radici vola sospeso nell’aria, sopra a uno specchio d’acqua che rimanda al mare maldestramente surriscaldato dagli effetti dell’inquinamento atmosferico.

La realizzazione dell’opera, in mostra all’Orto botanico di Padova fino al 5 gennaio 2020, è stata possibile grazie alla collaborazione artistica con Arte Sella e ha coinvolto le istituzioni forestali della Regione Veneto, della Provincia di Belluno e della Provincia autonoma di Trento che hanno contribuito a reperire il materiale arboreo sotto la guida tecnica del dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali dell'Università di Padova.

 

"Proprio mentre centinaia di migliaia di giovani scendono in piazza, in tutto il pianeta, per chiedere politiche attente e interventi urgenti contro i cambiamenti climatici, l’Università di Padova ricorda, con l’installazione dell’Albero degli Alberi di Michele De Lucchi, il drammatico evento che ha sconvolto il nostro territorio lo scorso ottobre" afferma il rettore dell’Università di Padova, Rosario Rizzuto.

"Sei milioni di alberi, 13 milioni di metri cubi di legname spazzati dalla forza di pioggia e vento. Così come fatto a Natale, con l’installazione all’interno del cortile antico di Palazzo Bo, vogliamo testimoniare in un altro luogo storico del nostro Ateneo, l’Orto Botanico, la nostra voglia di essere Università solidale e attenta alla tutela del territorio che ci circonda".

 



L’idea progettuale

La devastazione dei boschi di Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia e Lombardia di ottobre 2018 ha trasformato il paesaggio e ha messo a nudo ancora una volta la fragilità del nostro territorio. Gli effetti – violenti ed estremi – del cambiamento climatico hanno lasciato una ferita aperta. È possibile trasformare uno sfregio del nostro paesaggio in un segno e un’esperienza che spinga gli uomini ad un nuovo rapporto con la natura, ricordando che un albero non è mai solo un albero e che lo sviluppo e la salvaguardia del territorio sono cultura?

L’Orto botanico di Padova, con la collaborazione di Arte Sella, anch’essa duramente colpita dalla tempesta Vaia, ha realizzato un’installazione artistica con il recupero di tronchi e alberi di specie diverse provenienti dai boschi delle foreste abbattute delle province di Belluno e di Trento. L’opera porta la firma dell’architetto Michele De Lucchi, che ha donato il progetto della sua installazione Radici al vento, testa nella terra.

Costruita con il legno degli alberi travolti dal disastro di fine ottobre 2018, l’opera ricompone con essenze diverse - abete rosso, faggio, larice, abete bianco, frassino, betulla, tiglio e nocciolo - la figura di un albero che con il suo tronco, i suoi rami e le sue radici vola sospeso nell’aria, sopra a uno specchio d’acqua che rimanda al mare maldestramente surriscaldato dagli effetti dell’inquinamento atmosferico.

"L’opera conserva la memoria di un ribaltamento: le radici hanno ceduto alle folate della tempesta. Si sono sollevate, trascinate dalla leva di fusto e rami, e si sono esposte all’aria, fuori dalla terra, come non le avevamo mai viste," spiega De Lucchi.

"Abbiamo assistito a un fenomeno atmosferico di straordinaria portata, causato dall’innalzamento della temperatura dell’acqua del Mediterraneo. Salendo verso l’alto, il calore ha mosso una gigantesca massa d’aria, generando delle correnti che si sono poi incanalate nelle valli delle Prealpi e delle Dolomiti, con grande potenza e una direzione inusuale. Una forza che ha travolto alberi di cinquanta anni e più, portati via dal vento, come fuscelli."

 



Michele De Lucchi

Architetto. È stato tra i protagonisti di Alchimia e Memphis. Ha disegnato arredi per le più conosciute aziende italiane ed europee. È stato responsabile del Design Olivetti dal 1988 al 2002. Ha realizzato progetti di architettura in Italia e nel mondo tra cui edifici residenziali, industriali, direzionali e culturali.

Per Deutsche Bank, Deutsche Bundesbahn, Enel, Poste Italiane, Hera, Intesa Sanpaolo, UniCredit e altri Istituti italiani ed esteri ha progettato ambienti di lavoro e corporate identity. Ha disegnato edifici e sistemi espositivi per musei come la Triennale di Milano, il Palazzo delle Esposizioni di Roma, il Neues Museum di Berlino e le Galleria d’Italia a Milano. Attualmente sta progettando resort di lusso in varie parti del mondo: in Georgia, in Cina, in Giappone e in Italia. Sta realizzando una pista da sci indoor che sorgerà nell’area dell’ex fabbrica Alfa Romeo di Arese. A Bresso sta sviluppando il progetto di un campus dedicato all’innovazione tecnologica in campo farmaceutico.

Nel 2000 è stato insignito della onorificenza di Ufficiale della Repubblica Italiana dal Presidente Ciampi. Nel 2001 è stato nominato Professore Ordinario presso lo IUAV a Venezia. Nel 2006 ha ricevuto la Laurea ad Honorem dalla Kingston University. Dal 2008 è Professore Ordinario presso la Facoltà del Design al Politecnico di Milano e Accademico presso l’Accademia Nazionale di San Luca a Roma. Per il 2018 è stato direttore della rivista “Domus”.

 



L'approfondimento

A cura di Raffaele Cavalli, direttore del Dipartimento Territorio e Sistemi Agroforestali - Università di Padova

Tra sabato 27 e le prime ore di martedì 30 ottobre 2018 l’Italia nord-orientale è stata colpita da una perturbazione generata da una cella depressionaria, denominata “Vaia”, che ha attivato piogge alluvionali e violentissime raffiche di scirocco che hanno interessato in particolare le Alpi orientali, dalla Lombardia orientale fino al Friuli Venezia Giulia.

Il fenomeno si è sviluppato in due fasi: la prima fase, tra sabato 27 e domenica 28 ottobre, segnata da correnti umide che hanno generato copiose precipitazioni in molte zone dalle Prealpi bresciane all’alto Friuli, con ingrossamento dei torrenti e dei fiumi e l’avvio dei primi episodi di dissesto idro-geologico; la seconda fase, sviluppatasi, dopo una pausa di poche ore provvidenziale per smaltire i deflussi a valle, al mattino di lunedì 29 ottobre e proseguita nel pomeriggio-sera con una tempesta di vento da Sud-Est (con velocità di picco fino a 200 km/h) e piogge intense sui suoli già saturi d’acqua di Alpi e Prealpi.

In diverse zone tra Trentino-Alto Adige e Bellunese si sono registrate precipitazioni paragonabili per quantità a quelle dell’alluvione del 1966; questa volta, però, la relativa sosta che si è interposta tra i fenomeni piovosi ha consentito ai torrenti e fiumi di smaltire senza grandi conseguenze le onde di piena. Tuttavia l’intensità delle precipitazioni è stata la causa di distruttivi effetti sul suolo, con decine di interruzioni stradali, crolli di ponti, erosioni spondali, colate detritiche su abitati e frane. Ma più che per le precipitazioni la tempesta “Vaia” è ricordata per la violenza dello scirocco che ha soffiato tra mattino e pomeriggio di lunedì 29 ottobre e che ha interessato gran parte della catena delle Alpi nord orientali.

Le potenti raffiche di vento con direzione Sud-Est si sono incuneate nelle valli prealpine e alpine e, rafforzate da turbolenze locali, hanno determinato danni ad abitazioni, infrastrutture civili e soprattutto ai boschi. Si stima che siano stati danneggiati più di 40.000 ettari di superficie boschiva e 9.000.000 di metri cubi di legname (alberi schiantati o sradicati).

Finora i boschi alpini non avevano sofferto delle conseguenze di un evento del genere, poiché interessati di norma da fenomeni locali, legati a perturbazioni per lo più temporalesche; in poche ore si è sperimentata una situazione relativamente comune per i boschi dell’Europa centro-settentrionale, soggetti ai grandi uragani atlantici che periodicamente attraversano il continente europeo dalla Francia agli Urali. Ed è proprio grazie all’esperienza, maturata nei Paesi che prima di noi hanno conosciuto gli effetti delle tempeste di vento sul proprio patrimonio forestale, che si stanno mettendo in atto tutte le misure per il recupero delle imponenti quantità di legname a terra, cercando, da un lato, di limitare al minimo i danni di tipo economico e, dall’altro, di salvaguardare l’ambiente nella sua accezione più ampia.